Nel regno animale, gli individui con un ruolo dominante all’interno del proprio gruppo assumono posture aperte, con cui tendono cioè a occupare molto spazio, ad esempio allargando braccia e gambe. Al contrario, esemplari di rango inferiore mostrano posture di chiusura, stanno accovacciati o ripiegati su loro stessi.
Qualcosa di molto simile capita anche tra gli uomini: persone in posizioni di potere, o con una naturale attitudine a esso, mantengono posture di potere. Stanno seduti con le gambe larghe e il petto in fuori o, se in piedi, assumono la cosiddetta posa del supereroe: gambe divaricate e piedi ben piantati a terra, mani sui fianchi e spalle dritte, come i famosi protagonisti Marvel. In risposta a questi individui, persone maggiormente insicure o introverse, che non amano prendere il centro della scena, si fanno “piccole piccole”, con spalle ricurve e braccia e gambe incrociate.
Si è riscontrata una differenza di genere, verosimilmente culturale: è più frequente che uomini assumano posture di forza e donne pose remissive.
Alcuni studi hanno dimostrato che fingere di provare un’emozione attiva risposte fisiologiche caratteristiche dell’emozione simulata. Insomma, ridiamo perché siamo felici ma vale anche il contrario.
Queste due informazioni messe insieme hanno indotto gli scienziati a domandarsi se l’assunzione di posture di potere possa inviare una serie di informazioni al cervello volte a stimolare autoefficacia, assertività e capacità di gestione dello stress. In altre parole: fingerci forti può farci sentire forti e permetterci di acquisire, tramite ripetizione, quelle caratteristiche sopradescritte che generalmente attribuiamo alle persone potenti?
In passato si è ampiamente indagata la percezione delle caratteristiche di un interlocutore da parte del partner comunicativo sulla base del linguaggio non verbale manifestato, e si è scoperto che posture di forza vengono considerate segnali di competenza e sicurezza ma spesso elicitano nell’altro sentimenti di invidia e scarsa compassione.
In questo articolo però ci si concentra sugli studi che hanno analizzato le sensazioni dell’individuo stesso in relazione a specifiche posture assunte.
Dicevamo, ci si può sentire forti (e diventarlo) assumendo posture di forza? La risposta è sì.
Sebbene gli studi siano ancora embrionali, essi portano numerose prove a favore del fatto che mantenere una postura di potere per almeno due minuti ha ricadute positive su pensieri, emozioni e comportamenti in quanto stimola la percezione di autoefficacia, l’assertività e la capacità di fronteggiare situazioni stressanti. Inoltre pare che migliori anche la sensibilità enterocettiva, ovvero la capacità di divenire consapevoli dei segnali che arrivano dal corpo (clicca qui per scoprire qualcosa in più sull’importanza della consapevolezza).
Non è ancora chiaro se i benefici della “posa del supereroe” vengano mantenuti sul lungo termine e se possa valere la pena pensare a dei veri e propri training che sfruttino queste posture per lavorare su autostima e autoefficacia.
Ok, ma come possono tornarmi utili queste informazioni?
Concedersi due minuti di posa del supereroe prima di un colloquio di lavoro o di una cena importante potrebbe avere ricadute positive a più livelli. Potremmo infatti:
- sentirci più sicuri e competenti;
- apparire più sicuri e competenti;
- raggiungere il nostro obiettivo;
- rinforzare l’immagine di noi come persone sicure e competenti;
- ripetere il comportamento e sperimentare nuovi successi;
- innescare un circolo virtuoso!
3…2…1…POWER POSE!
Arianna
Riferimenti bibliografici
- Carney, D.R., Cuddy, A.J.C., Yap, A.J. (2015). Review and summary of research on the embodied effects of expansive (vs. contractive) nonverbal displays. Psychological Science, 26(5), 657–663.
- Rennung, M., Blum, J., Goritz, A.J. (2016). TO strike a pose: no stereotype backlash for power posing women. Frontiers in Psychology, 27(7), doi: 10.3389/fpsyg.2016.01463.
- Weineck, F., Messner, M., Hauke, G., Pollatos, O. (2019). Improving interoceptive ability through the practice of power posing: A pilot study. PLoS One, 14(2), doi.org/10.1371/journal.pone.0211453.