Auto-compassione: come prendersi cura di sé in 6 passi

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Compassione. Letteralmente: soffrire con.

Prendere consapevolezza che il dolore dell’altro potrebbe a un certo punto diventare il nostro può gettare una nuova luce sul modo in cui ci prendiamo cura del prossimo.

Cura. Un’altra parola chiave, se ci pensiamo. Accudire l’altro con gentilezza e amorevolezza può innescare un circolo virtuoso intorno a noi, garantendoci un ambiente in cui le cose brutte non smetteranno di accadere (ahimè, ci sono situazioni su cui abbiamo poco o nessun controllo) ma in cui sentiremo di poter contare su una rete di supporto.

Supporto. Siamo certi di poter garantire a noi stessi lo stesso tipo di supporto che siamo in grado di offrire agli altri?

Purtroppo alle volte non è così semplice essere accudenti, gentili, compassionevoli e di supporto con noi stessi. Questo può accadere per ragioni culturali e/o dipendere dall’educazione ricevuta. Dove per educazione non si intendono tanto le prescrizioni ricevute, spesso nella forma “Si deve/non si deve…”, quanto il modo in cui sentiamo di essere stati amati, accuditi e supportati dalle persone preposte alla nostra cura. Dai nostri adulti significativi, insomma!

Se abbiamo ricevuto amore incondizionato e abbiamo toccato con mano la compassione degli altri nei nostri confronti, saremo più propensi ad essere a nostra volta compassionevoli verso gli altri e verso noi stessi e a ricevere la compassione altrui (altra abilità non scontata).

Amore incondizionato. Anche questo sintagma può a un primo sguardo apparire controverso. Amare incondizionatamente qualcuno non significa, come si può essere portati a credere, non riconoscerne difetti o errori o, ad esempio nel caso di una bambino, “dargliele tutte vinte”. Significa piuttosto amarlo nonostante difetti ed errori come l’essere imperfetto che è e spingerlo verso un cambiamento, laddove auspicabile. Immaginate come può essere potente partire da una così solida base di amorevolezza (una base sicura) per sperimentare e migliorarsi!

Anche nell’errore siamo degni d’amore!

In quest’ottica la compassione, troppo spesso confusa con la pietà, non riguarda semplicemente il riconoscere la sofferenza dell’altro liquidando la questione velocemente con un “poverino”. Ha piuttosto a che fare con la connessione emotiva, con la capacità di starci in quella sofferenza e, anche in questo caso, con la spinta gentile verso il cambiamento.

Sarebbe davvero bellissimo riuscire a rivolgere questo tipo di compassione (una compassione che riconosce e motiva) anche verso noi stessi! Potremmo coltivare la fiducia in noi, nella nostra abilità di fronteggiare le difficoltà e di perseguire i nostri valori.

Come farlo però specie se, come si diceva prima, non siamo stati allenati all’auto-compassione fin da piccoli?

Non tutto è perduto (non lo è quasi mai)! Si tratta di fare una sorta di training, appunto, di andare per gradi per costruire, nel tempo, una vera e propria abitudine all’auto-compassione che produrrà benefici a diversi livelli (personale, sociale, lavorativo,…) facendoci venire voglia di continuare a percorrerla, questa strada!

Vediamo qualche esempio.

1 – Evitiamo le etichette

Attribuirci una serie di aggettivi negativi (“sono asociale”, “non sono amabile”, “sono goffa”, etc.) non rappresenta decisamente una spinta gentile verso un cambiamento più in linea con i nostri valori e, anzi, ci incastra in una definizione che, essendo assoluta, non può che essere limitante. Certo, potrà capitarmi di risultare un po’ goffa e impacciata qualche volta, ma facciamo attenzione a non trasformare un evento specifico in una definizione generale. E occhio anche alle “etichette positive”! Se mi definisco simpatica e socievole che cosa capita se per una volta non sono esattamente l’anima della festa?

2 – Prima il dovere, ma anche il piacere!

Cerchiamo di non privarci di troppi piaceri nella nostra vita perché questo potrebbe portarci a sentirci frustrati e deprivati e ad allontanarci dai nostri obiettivi. Bilanciare doveri e piaceri ci aiuta a mantenere in equilibrio le energie che, tipicamente, i doveri consumano e i piaceri ricaricano. E potrò perseguire i miei obiettivi e mantenere alta la motivazione di fronte alle difficoltà solo se disporrò di risorse sufficienti per farlo.

3 – Fidiamoci del’istinto

Spesso facciamo distinzioni tra testa e cuore, tra livello razionale ed emotivo. Culturalmente siamo portati a pensare che la ragione debba avere la meglio, perché in grado di vagliare tutte le ipotesi mantenendo una certa neutralità (e compostezza) mentre le emozioni sono come onde che ci travolgono e disorientano. In realtà, se lasciamo a queste ultime lo spazio che meritano, possiamo utilizzarle come bussola nella presa di decisioni. Se l’esposizione a una data situazione apparentemente innocua mi mette a disagio un motivo ci sarà, posso provare a comprenderlo per comprendermi meglio, anziché liquidarlo rapidamente come “una stupidaggine”.

4 – Chiariamo i nostri bisogni e le nostre aspettative

Dobbiamo fare spazio alla consapevolezza che gli altri, anche se ci semplificherebbe di molto la vita, non sono in grado di leggerci nel pensiero. Se perciò abbiamo un certo bisogno o ci aspettiamo che le persone a noi vicine facciano/smettano di fare qualcosa, diciamoglielo. Mi raccomando, con le parole, non con gesti, microsegnali o frasi passivo-aggressive che “se mi conosce davvero dovrebbe cogliere”. Anche noi, se ci pensiamo, non abbiamo la più pallida idea di che cosa si muova nella testa dell’altro, che potrebbe essere impegnato a risolvere le sue battaglie mentali proprio come noi!

5 – Nutriamoci al meglio

Vale per il cibo ma anche per tutto ciò che ci porta pace e benessere. Facciamo quello che ci fa stare bene, ce lo meritiamo!

6 – Diamo la priorità a noi stessi

Alla nostra salute. Al nostro benessere. Non si tratta di essere egoisti ma di dare importanza all’unica costante della nostra vita: noi. Prima si diceva che è fondamentale nutrirsi al meglio e darsi l’opportunità di recuperare risorse e questo vale anche se uno dei nostri valori cardine è la cura dell’altro: se sono totalmente svuotata o mi sento frustrata e insoddisfatta sarà molto difficile essere genuinamente di supporto alle persone importanti della mia vita. Pensiamoci la prossima volta che rimandiamo la ginnastica posturale per lenire quel dolore lombare che non ci dà tregua!

Ed ecco sei step per allenare l’auto-compassione. Ve ne vengono in mente altri? Vale tutto, se il fine ultimo è il proprio benessere!

Arianna

Riferimenti bibliografici (presenza di link affiliati, potrei ricevere una commissione se acquistaste i libri attraverso tali link)

Hayes, S.C., Strosahl, K.D., Wilson, K.G. (2013). ACT: Teoria e pratica dell’Acceptance and Commitment Therapy. Milano: Raffaello Cortina.

Kolts, R.L. (2019). Fare TFC: Guida pratica per i professionisti alla Terapia Focalizzata sulla Compassione. Milano: Franco Angeli.

Gilbert, P. (2016). La terapia focalizzata sulla compassione: Caratteristiche distintive. Milano: Franco Angeli.

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Il mito (tossico?) del multitasking

Il mito tossico del multitasking
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Quante volte ci sarà capitato di dire frasi del tipo: “non preoccuparti, sono multitasking!”. Probabilmente potremmo anche esserci vantati di riuscire a tenere la testa impegnata su più attività simultaneamente riuscendo a garantire un buon livello di efficienza e dimezzando i tempi di esecuzione dei diversi compiti. C’è poi un luogo comune che vuole le donne “più multitasking” degli uomini, in ragione dell’esigenza (del dovere?) di barcamenarsi tra i diversi ruoli che la società impone loro (lavoratrici, madri, casalinghe e chi più ne ha più ne metta).

Ma siamo davvero certi che riuscire a fare più cose contemporaneamente (questa la traduzione letterale di “multitasking”) sia vantaggioso in termini di efficienza delle proprie prestazioni e di benessere psicologico?

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Minimalismo e benessere psicologico

Minimalismo e benessere psicologico
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Di minimalismo si parlò per la prima volta intorno agli anni Sessanta del Novecento, in riferimento all’ambito artistico in cui si era osservata una certa tendenza al riduzionismo. Ridurre al minimo equivale, in questo senso, a valorizzare solo ciò che è essenziale. Il minimalismo trovò espressione in ogni arte, dalla scultura alla pittura, dalla fotografia alla musica, dall’architettura all’interior design. In quest’ultimo ambito un concetto chiave, oltre alla già citata essenzialità, è quello di funzionalità. Gli spazi devono essere funzionali rispetto alle attività per cui sono preposti. Ciò può significare, se pensiamo ad esempio a una cucina, che a portata di mano e a vista si avranno oggetti di uso quotidiano perché questo semplificherà le operazioni di pulizia, ad esempio, o di preparazione dei cibi.

Attualmente il concetto di minimalismo abbraccia diverse aree oltre alle arti. Lo troviamo in ambito finanziario, nella moda, nelle relazioni, nelle strategie di gestione domestica, nell’alimentazione, nell’attenzione alla sostenibilità ambientale e così via.

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Stare nel momento presente, il ritorno

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Il ritorno nel qui e ora dopo aver viaggiato con la mente attraverso i mille scenari possibili che potrebbero (o meno) pararsi davanti a noi. Ma anche, più banalmente, il ritorno di questa tematica che mi sta molto a cuore e che ho già affrontato qui, qui e anche qui!

Dopo aver ampiamente analizzato l’utilità dell’allenamento a stare nel momento presente, vediamo qualche tecnica per farlo. Tali tecniche rappresentano validi strumenti da inserire nella nostra cassetta degli attrezzi per intervenire sulla regolazione emotiva e per gestire al meglio lo stress, ma più ancora riguardano strategie che, se applicate con costanza e “a freddo” (ovvero quando non è attiva nessuna situazione ingaggiante), possono naturalmente modificare il nostro approccio alle cose. A seguito di un allenamento quotidiano potremo scoprirci meno giudicanti verso i nostri pensieri ed emozioni e maggiormente proattivi nel fronteggiamento di circostanze di vita anche avverse.

Ma partiamo con qualche esempio!

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Sindrome da rientro: 4 step per gestirla

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Il rientro dalle vacanze, contrariamente a ciò che ci si aspetta, può rivelarsi un momento di forte stress. Dopo una pausa o un viaggio, il ritorno al “solito tran tran” non è tutto rose e fiori.
La sospensione degli impegni abituali e il distanziamento dalle preoccupazioni che li permeano offrono la possibilità di vivere in una sorta di bolla in cui risulta più semplice godersi il qui e ora perché i problemi sono (anche fisicamente) lontani e perciò, in prospettiva, appaiono piccoli e non così degni di assorbire sempre tutta la nostra attenzione.

L’aspettativa alla fine di una vacanza è spesso quella di portare a casa un po’ di leggerezza, di fare tesoro dell’energia recuperata.

La verità è che energia e vibrazioni positive scompaiono nel giro di poco, di troppo poco tempo e la routine, gli impegni, le preoccupazioni e gli obblighi ci inghiottono.

Il risultato è che ci sentiamo frustrati per il rientro e perché non siamo stati capaci di cambiare le nostre abitudini. Non siamo riusciti a conservare le risorse recuperate durante la pausa e ci sentiamo stanchi e stressati come prima di partire!

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La posa del supereroe

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Nel regno animale, gli individui con un ruolo dominante all’interno del proprio gruppo assumono posture aperte, con cui tendono cioè a occupare molto spazio, ad esempio allargando braccia e gambe. Al contrario, esemplari di rango inferiore mostrano posture di chiusura, stanno accovacciati o ripiegati su loro stessi.

Qualcosa di molto simile capita anche tra gli uomini: persone in posizioni di potere, o con una naturale attitudine a esso, mantengono posture di potere. Stanno seduti con le gambe larghe e il petto in fuori o, se in piedi, assumono la cosiddetta posa del supereroe: gambe divaricate e piedi ben piantati a terra, mani sui fianchi e spalle dritte, come i famosi protagonisti Marvel. In risposta a questi individui, persone maggiormente insicure o introverse, che non amano prendere il centro della scena, si fanno “piccole piccole”, con spalle ricurve e braccia e gambe incrociate.

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Le mentine

Le mentine è (sono?) un’idea, un progetto, una speranza.

Vado scrivendo e dicendo in lungo e in largo che mi piacerebbe che la psicologia venisse vista come qualcosa cui attingere per gestire la sofferenza ma anche e soprattutto come un mezzo per incrementare il benessere (e quindi gestire più agevolmente la sofferenza). E le pillole di benessere mentale, Le mentine insomma, puntano a questo. Si tratta di contenuti pensati per dare suggerimenti pratici a chi desidera coltivare la propria salute mentale.

Dopotutto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che per salute si intende una condizione di totale benessere fisico, mentale e sociale e non solo la mera assenza di malattie o infermità.

Ci provo.

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Il diario della gratitudine

Foto di StockSnap da Pixabay

Tenere un diario in cui segnare quotidianamente ciò per cui siamo grati incrementa la consapevolezza, la resilienza e, in ultima analisi, il benessere psicologico.

Ecco, questo è ciò di cui voglio convincervi e non perché lo dico io, ma perché aumentano gli studi a dimostrazione dell’efficacia di questo strumento in varie popolazioni cliniche (individui a rischio suicidario, pazienti oncologici, etc.). E se funziona per persone che stanno affrontando sfide così impegnative, perché non credere che possa servire anche per fronteggiare i nostri piccoli e grandi drammi quotidiani, rendendoci pronti in caso di ribaltamenti improvvisi della nostra fortuna.

Questa riflessione di per sé dovrebbe bastare per indurci a correre in cartoleria a comprare un quaderno carino. Ma nei fatti non basta. E per due ragioni. La prima è che siamo culturalmente abituati a prenderci cura della nostra salute mentale solo quando diventa un problema. La seconda è che metterci a scrivere le cose belle che ci accadono può farci sentire stupidi, ché ci sono cose più serie a cui pensare e poi, insomma, non sono nemmeno religioso!

La nostra attenzione è spesso catturata da pericoli reali o potenziali da affrontare e questo ha un vantaggio evolutivo. Se l’uomo delle caverne non fosse stato in grado di immaginare i peggiori scenari possibili non sarebbe probabilmente sopravvissuto ai pericoli della natura e oggi noi saremmo estinti.

C’è da dire però che spesso la nostra testa:

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Il primo colloquio dallo psicologo

benessere psicologico Torino
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Diciamocelo, quando dobbiamo andare per la prima volta dallo psicologo, anche se si tratta di una cosa che abbiamo desiderato e scelto, un po’ di ansietta ci pervade. Dobbiamo andare a raccontare i fatti nostri a una persona con cui non abbiamo alcun tipo di legame e che magari dalle nostre parole deriverà chissà quali teorie sulla nostra personalità e sulla nostra infanzia! Ma insomma!

Ecco, non è proprio così. Lo psicologo è un professionista allenato all’ascolto attivo, il cui obiettivo non è fare assunzioni su chi siete o giudicarvi, ma semplicemente fare un pezzetto di strada con voi e sostenervi nel perseguimento dei valori che vi appartengono, senza cercare di plasmarvi sulla base dei suoi, di valori (ricordate la metafora delle due montagne?).

Tante belle parole, ma nella pratica? Che cosa ci dobbiamo aspettare quando varchiamo la soglia di uno studio di psicologia?

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Come (e perché) stare nel momento presente

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Si parla spesso di quanto sia importante vivere il momento presente, il qui e ora. Se ci pensiamo, anche la saggezza popolare spinge molto su questo punto dicendoci, ad esempio, che non dobbiamo fasciarci la testa prima di rompercela. In effetti, preoccuparci per il futuro o ruminare sul passato raramente ci apporta qualche beneficio.

C’è da dire però che la società occidentale, anziché assecondare la saggezza popolare, ha spinto molto su concetti come produttività, efficienza, rapidità della performance. Concetti, questi, che non fanno che sbilanciare l’attenzione verso il futuro (le cose da fare), alimentando sensi di colpa sul passato (le cose che avremmo dovuto fare ma non abbiamo fatto). E disconnettendoci, in ultima istanza, da ciò che sentiamo e desideriamo.

Questa disconnessione, che sul breve termine può avere risvolti positivi, poiché ci protegge da vissuti dolorosi e disorientanti, sul lungo termine rischia di creare un gap incolmabile con i nostri valori e le nostre aspirazioni, alimentando emozioni sgradevoli.

Ma come si fa a stare nel momento presente? La mindfulness ci può venire in aiuto. Essa riguarda la capacità di portare la propria attenzione nel qui e ora in maniera consapevole e non giudicante. È stata portata nella nostra cultura da Jon Kabat-Zinn, medico statunitense che dopo un periodo trascorso in oriente, scoprendone i benefici, ha deciso di “esportarla” spogliandola dagli aspetti trascendentali.

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