Il mito (tossico?) del multitasking

Il mito tossico del multitasking
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Quante volte ci sarà capitato di dire frasi del tipo: “non preoccuparti, sono multitasking!”. Probabilmente potremmo anche esserci vantati di riuscire a tenere la testa impegnata su più attività simultaneamente riuscendo a garantire un buon livello di efficienza e dimezzando i tempi di esecuzione dei diversi compiti. C’è poi un luogo comune che vuole le donne “più multitasking” degli uomini, in ragione dell’esigenza (del dovere?) di barcamenarsi tra i diversi ruoli che la società impone loro (lavoratrici, madri, casalinghe e chi più ne ha più ne metta).

Ma siamo davvero certi che riuscire a fare più cose contemporaneamente (questa la traduzione letterale di “multitasking”) sia vantaggioso in termini di efficienza delle proprie prestazioni e di benessere psicologico?

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Minimalismo e benessere psicologico

Minimalismo e benessere psicologico
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Di minimalismo si parlò per la prima volta intorno agli anni Sessanta del Novecento, in riferimento all’ambito artistico in cui si era osservata una certa tendenza al riduzionismo. Ridurre al minimo equivale, in questo senso, a valorizzare solo ciò che è essenziale. Il minimalismo trovò espressione in ogni arte, dalla scultura alla pittura, dalla fotografia alla musica, dall’architettura all’interior design. In quest’ultimo ambito un concetto chiave, oltre alla già citata essenzialità, è quello di funzionalità. Gli spazi devono essere funzionali rispetto alle attività per cui sono preposti. Ciò può significare, se pensiamo ad esempio a una cucina, che a portata di mano e a vista si avranno oggetti di uso quotidiano perché questo semplificherà le operazioni di pulizia, ad esempio, o di preparazione dei cibi.

Attualmente il concetto di minimalismo abbraccia diverse aree oltre alle arti. Lo troviamo in ambito finanziario, nella moda, nelle relazioni, nelle strategie di gestione domestica, nell’alimentazione, nell’attenzione alla sostenibilità ambientale e così via.

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