
L’immagine della montagna mi è particolarmente cara quando si parla del mio lavoro. O della mia vita, in verità. Ma soffermiamoci sul lavoro!
Russ Harris, psicologo tra i massimi esperti di ACT (Acceptance and Committment Therapy), quando spiega che cosa sia la psicoterapia propone la metafora delle due montagne: il terapeuta non è un essere umano speciale, privo di problemi e completamente risolto ma sta, come tutti, scalando la propria montagna. Dalla sua prospettiva però, riesce a vedere meglio che cosa capita nella montagna della persona che si è rivolta a lui. Può vedere, ad esempio, se c’è una valanga in arrivo o un sentiero alternativo da percorrere.
Non sa tutto, ha semplicemente una visuale più ampia sulle altre montagne. Quello che può fare la psicoterapia non è tanto velocizzare il viaggio (ché se la montagna rappresenta la vita, l’arrivo in cima rappresenta…be’…direi che è chiaro!) quanto aiutare a goderselo, questo viaggio!
La montagna ritorna anche in un’altra occasione (e forse in altre mille che un giorno conoscerò!). Una delle meditazioni più note tra quelle proposte da Jon Kabat-Zinn, colui che ha portato la mindfulness nella cultura occidentale, è proprio quella della montagna. La montagna è radicata, stabile, imperturbabile nonostante sia continuamente soggetta a mutamenti ed eventi atmosferici. Identificarsi con essa può aiutare ad affrontare le varie vicissitudini con consapevolezza.
La consapevolezza ha molto a che fare con il benessere psicologico: sapere che il dolore alle volte è inevitabile (si pensi ai lutti) ma anche che si può contare sulle proprie risorse e che la sofferenza, anche la più grande, non dura per sempre, può davvero aiutarci a vivere al meglio il nostro viaggio!
Arianna
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